Tumore del rene
Il tumore del rene rappresenta il 2-3% circa di tutte le neoplasie, con una maggiore incidenza nei paesi sviluppati
22/12/2015 · Autore Prof. Federico Dehò
EPIDEMIOLOGIA
Il tumore del rene rappresenta il 2-3% circa di tutte le neoplasie, con una maggiore incidenza nei paesi sviluppati. È la più comune lesione solida a sviluppo renale e il sottotipo carcinoma a cellule renali comprende circa il 78% di tutte le patologie maligne renali. Ne esistono diversi tipi, ognuno con specifiche caratteristiche istopatologiche e genetiche. Vi è una predominanza degli uomini sulle donne con un rapporto 1.5 a 1 con un picco di incidenza tra i 60 ed i 70 anni di età. Costituiscono fattori di rischio il fumo, l’obesità, la terapia antipertensiva e la familiarità.
DIAGNOSI
L’utilizzo d’indagini diagnostiche ha consentito una più frequente e precoce diagnosi delle neoplasie renali (tumori di dimensioni minori). La classica triade di sintomi: dolore al fianco, macroematuria (sangue nelle urine) e massa addominale palpabile, è oggi molto rara. La maggior parte delle masse renali sono asintomatiche e non palpabili se non in stadio avanzato di malattia; ciò comporta che più del 50% di esse vengano scoperte casualmente (diagnosi incidentale) durante accertamenti per altre patologie. Nel 30% dei pazienti con malattia sintomatica è possibile riscontrare sindromi paraneoplastiche. Le più comuni sono rappresentate da: cachessia, ipertensione, perdita di peso, piressia, neuro miopatia, amiloidosi, policitemia, anemia, funzione epatica alterata, ipercalcemia. Una minima parte di pazienti infine presenta sintomi legati alle metastasi (dolori ossei o tosse persistente).
L’approccio tradizionale nella diagnosi delle neoplasie renali è legato all’uso dell’ecografia, TC o risonanza magnetica. L’ecografia è spesso utilizzata per una prima valutazione. Ha il vantaggio di non utilizzare radiazioni né mezzi di contrasto iodati, di avere un costo limitato e una ottima accessibilità. E’ utile per distinguere le lesioni cistiche da quelle solide o per monitorare la crescita e la struttura di una cisti. Tuttavia il suo potere diagnostico è basso per tumori di dimensioni inferiori ai 3 cm di diametro (67-79%) in considerazione delle caratteristiche morfologiche spesso indistinguibili dal tessuto sano. La TC e la risonanza magnetica (che devono essere eseguite con e senza infusione di mezzo di contrasto) forniscono informazioni circa la forma e il funzionamento dei reni, l’estensione del tumore, la sua posizione, l’eventuale interessamento dei vasi renali, il coinvolgimento dei linfonodi e lo stato degli organi adiacenti. La scintigrafia ossea è un’indagine diagnostica che fornisce informazioni circa l’eventuale coinvolgimento osseo (metastasi scheletriche) ed è indicata in pazienti con dolori ossei o per completare in particolari casi la stadiazione della malattia.
TRATTAMENTO
Il trattamento di scelta del tumore renale localizzato è l’intervento chirurgico che garantisce i migliori risultati in termini di radicalità oncologica. Tuttavia anche il tumore renale avanzato o metastatico giova del trattamento chirurgico quando associato a un approccio multispecialistico: la rimozione del tumore principale (debulking), infatti, migliora la risposta al trattamento anti-angiogenetico.
La tumorectomia renale e la nefrectomia radicale sono interventi eseguiti nel caso il paziente sia affetto da tumore renale. Nella tumorectomia renale l’obiettivo è rimuovere esclusivamente il tumore, risparmiando il tessuto renale sano. Al contrario, la nefrectomia consiste nell’asportare tutto il rene, il grasso che lo avvolge e, talvolta anche il surrene (tumori del polo superiore) o i linfonodi. La rimozione di tutto il rene è indicato in caso di gravi compromissioni del rene (rene non funzionante), grandi tumori o quando la rimozione del solo tessuto malato risulta impossibile per la localizzazione o l’anatomia del rene.
L’intervento viene eseguito con tecnica laparotomica (“a cielo aperto”), laparoscopica o robotica (DaVinci System®) in considerazione delle caratteristiche del paziente e della malattia.
In tutti e tre gli approcci, prima dell’intervento viene posizionato un catetere vescicale che permette il monitoraggio della diuresi sia durante l’intervento che nei primi giorni postoperatori. L’intervento prevede il clampaggio e/o la legatura e la sezione dei vasi renali (vena e arteria), dei vasi gonadici e dell’uretere. Al termine dell’intervento viene posizionato un tubo di drenaggio in loggia renale che porti all’esterno eventuali residui di sangue linfa o urina. L’intervento può durare, a secondo della tecnica, dai 60 ai 180 minuti. Le complicanze intra e postoperatorie vanno dal sanguinamento, alla lesione accidentale di organi adiacenti, all’insufficienza renale o surrenalica, alla febbre o alle fistole urinose. La degenza postoperatoria deve essere limitata al minor tempo possibile per ridurre il rischio per il paziente di contrarre infezioni ospedaliere. La degenza media è di circa 3-4 giorni a secondo dell’approccio chirurgico